意大利语综合阅读素材09
分类: 意大利语
时间: 2022-08-06 14:03:27
作者: 全国等级考试资料网
9. Pinocchio vende l’abbecedario per andare a vedere il teatrino dei burattini.
Il Gran Teatro dei burattini
Smesso che fu di nevicare, Pinocchio col suo bravo Abbecedario nuovo sotto il braccio, prese la strada che menava alla scuola: e strada facendo, fantasticava nel suo cervellino mille ragionamenti e mille castelli in aria, uno più bello dell’altro.
E discorrendo da sé solo diceva:
"Oggi, alla scuola, voglio subito imparare a leggere: domani poi imparerò a scrivere e domani l’altro imparerò a fare i numeri. Poi, colla mia abilità, guadagnerò molti quattrini e coi primi quattrini che mi verranno in tasca, voglio subito fare al mio babbo una bella casacca di panno. Ma che dico di panno? Gliela voglio fare tutta d’argento e d’oro, e coi bottoni di brillanti. E quel pover’uomo se la merita davvero: perché, insomma, per comprarmi i libri e per farmi istruire, è rimasto in maniche di camicia... a questi freddi! Non ci sono che i babbi che sieno capaci di certi sacrifizi!..."
Mentre tutto commosso diceva così, gli parve di sentire in lontananza una musica di pifferi e di colpi di grancassa: pì-pì-pì, pì-pì-pì zum, zum, zum, zum.
Si fermò e stette in ascolto. Quei suoni venivano di fondo a una lunghissima strada traversa, che conduceva a un piccolo paesetto fabbricato sulla spiaggia del mare.
"Che cosa sia questa musica? Peccato che io debba andare a scuola, se no..."
E rimase lì perplesso. A ogni modo, bisognava prendere una risoluzione: o a scuola, o a sentire i pifferi:
"Oggi anderò a sentire i pifferi, e domani a scuola: per andare a scuola c’è sempre tempo", disse finalmente quel monello facendo una spallucciata.
Detto fatto, infilò giù per la strada traversa, e cominciò a correre a gambe. Più correva e più sentiva distinto il suono dei pifferi e dei tonfi della grancassa: pì-pì-pì, pì-pì-pì... zum, zum, zum, zum.
Quand’ecco che si trovò in mezzo a una piazza tutta piena di gente, la quale si affollava intorno a un gran baraccone di legno e di tela dipinta di mille colori.
"Che cos’è quel baraccone?" domandò Pinocchio, voltandosi a un ragazzetto che era lì del paese.
"Leggi il cartello, che c’è scritto, e lo saprai."
"Lo leggerei volentieri, ma per l’appunto oggi non so leggere."
"Bravo bue! Allora te lo leggerò io. Sappi dunque che in quel cartello a lettere rosse come il fuoco c’è scritto: GRAN TEATRO DEI BURATTINI..."
"è molto che è incominciata la commedia?"
"Comincia ora."
"E quanto si spende per entrare?"
"Quattro soldi."
Pinocchio, che aveva addosso la febbre della curiosità, perse ogni ritegno, e disse senza vergognarsi al ragazzetto, col quale parlava:
"Mi daresti quattro soldi fino a domani?"
"Te li darei volentieri", gli rispose l’altro canzonandolo, "ma oggi per l’appunto non te li posso dare."
"Per quattro soldi, ti vendo la mia giacchetta", gli disse allora il burattino.
"Che vuoi che mi faccia di una giacchetta di carta fiorita? Se ci piove su, non c’è più verso di cavartela da dosso."
"Vuoi comprare le mie scarpe?"
"Sono buone per accendere il fuoco."
"Quanto mi dai del berretto?"
"Bell’acquisto davvero! Un berretto di midolla di pane! C’è il caso che i topi me lo vengano a mangiare in capo!"
Pinocchio era sulle spine. Stava lì lì per fare un’ultima offerta: ma non aveva coraggio; esitava, tentennava, pativa. Alla fine disse:
"Vuoi darmi quattro soldi di quest’Abbecedario nuovo?"
"Io sono un ragazzo, e non compro nulla dai ragazzi", gli rispose il suo piccolo interlocutore, che aveva molto più giudizio di lui.
"Per quattro soldi l’Abbecedario lo prendo io", gridò un rivenditore di panni usati, che s’era trovato presente alla conversazione.
E il libro fu venduto lì sui due piedi. E pensare che quel pover’uomo di Geppetto era rimasto a casa, a tremare dal freddo in maniche di camicia, per comprare l’Abbecedario al figliuolo!
Il Gran Teatro dei burattini
Smesso che fu di nevicare, Pinocchio col suo bravo Abbecedario nuovo sotto il braccio, prese la strada che menava alla scuola: e strada facendo, fantasticava nel suo cervellino mille ragionamenti e mille castelli in aria, uno più bello dell’altro.
E discorrendo da sé solo diceva:
"Oggi, alla scuola, voglio subito imparare a leggere: domani poi imparerò a scrivere e domani l’altro imparerò a fare i numeri. Poi, colla mia abilità, guadagnerò molti quattrini e coi primi quattrini che mi verranno in tasca, voglio subito fare al mio babbo una bella casacca di panno. Ma che dico di panno? Gliela voglio fare tutta d’argento e d’oro, e coi bottoni di brillanti. E quel pover’uomo se la merita davvero: perché, insomma, per comprarmi i libri e per farmi istruire, è rimasto in maniche di camicia... a questi freddi! Non ci sono che i babbi che sieno capaci di certi sacrifizi!..."
Mentre tutto commosso diceva così, gli parve di sentire in lontananza una musica di pifferi e di colpi di grancassa: pì-pì-pì, pì-pì-pì zum, zum, zum, zum.
Si fermò e stette in ascolto. Quei suoni venivano di fondo a una lunghissima strada traversa, che conduceva a un piccolo paesetto fabbricato sulla spiaggia del mare.
"Che cosa sia questa musica? Peccato che io debba andare a scuola, se no..."
E rimase lì perplesso. A ogni modo, bisognava prendere una risoluzione: o a scuola, o a sentire i pifferi:
"Oggi anderò a sentire i pifferi, e domani a scuola: per andare a scuola c’è sempre tempo", disse finalmente quel monello facendo una spallucciata.
Detto fatto, infilò giù per la strada traversa, e cominciò a correre a gambe. Più correva e più sentiva distinto il suono dei pifferi e dei tonfi della grancassa: pì-pì-pì, pì-pì-pì... zum, zum, zum, zum.
Quand’ecco che si trovò in mezzo a una piazza tutta piena di gente, la quale si affollava intorno a un gran baraccone di legno e di tela dipinta di mille colori.
"Che cos’è quel baraccone?" domandò Pinocchio, voltandosi a un ragazzetto che era lì del paese.
"Leggi il cartello, che c’è scritto, e lo saprai."
"Lo leggerei volentieri, ma per l’appunto oggi non so leggere."
"Bravo bue! Allora te lo leggerò io. Sappi dunque che in quel cartello a lettere rosse come il fuoco c’è scritto: GRAN TEATRO DEI BURATTINI..."
"è molto che è incominciata la commedia?"
"Comincia ora."
"E quanto si spende per entrare?"
"Quattro soldi."
Pinocchio, che aveva addosso la febbre della curiosità, perse ogni ritegno, e disse senza vergognarsi al ragazzetto, col quale parlava:
"Mi daresti quattro soldi fino a domani?"
"Te li darei volentieri", gli rispose l’altro canzonandolo, "ma oggi per l’appunto non te li posso dare."
"Per quattro soldi, ti vendo la mia giacchetta", gli disse allora il burattino.
"Che vuoi che mi faccia di una giacchetta di carta fiorita? Se ci piove su, non c’è più verso di cavartela da dosso."
"Vuoi comprare le mie scarpe?"
"Sono buone per accendere il fuoco."
"Quanto mi dai del berretto?"
"Bell’acquisto davvero! Un berretto di midolla di pane! C’è il caso che i topi me lo vengano a mangiare in capo!"
Pinocchio era sulle spine. Stava lì lì per fare un’ultima offerta: ma non aveva coraggio; esitava, tentennava, pativa. Alla fine disse:
"Vuoi darmi quattro soldi di quest’Abbecedario nuovo?"
"Io sono un ragazzo, e non compro nulla dai ragazzi", gli rispose il suo piccolo interlocutore, che aveva molto più giudizio di lui.
"Per quattro soldi l’Abbecedario lo prendo io", gridò un rivenditore di panni usati, che s’era trovato presente alla conversazione.
E il libro fu venduto lì sui due piedi. E pensare che quel pover’uomo di Geppetto era rimasto a casa, a tremare dal freddo in maniche di camicia, per comprare l’Abbecedario al figliuolo!