意大利语阅读学习:《达芬奇密码》第四章(一)
分类: 意大利语
时间: 2019-01-22 16:04:42
作者: 全国等级考试资料网
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Il capitano Bezu Fache camminava come un toro incollerito, con le spal-le dritte e il mento piantato nel petto. Aveva i capelli neri e lucidi, pettinati all’indietro, con un ciuffo centrale dall’attaccatura simile alla punta di una freccia, che divideva in due ben distinte parti la fronte sporgente e lo pre-cedeva come la prua di una nave da guerra. Mentre avanzava, i suoi occhi
scuri parevano scavare la terra davanti a lui e davano un’impressione di fe-rocia che corrispondeva alla sua fama di severità in ogni cosa.
Langdon seguì il capitano lungo la famosa scalinata di marmo che por-tava nell’atrio sotterraneo, sotto la piramide di vetro. Mentre scendevano, passarono accanto a due agenti della polizia giudiziaria armati di mitra-gliette. Il messaggio era chiaro: questa notte nessuno entra, nessuno esce senza il permesso del capitano Fache.
Scendendo sotto il livello del terreno, Langdon provò un crescente al-larme. La presenza di Fache era tutt’altro che rassicurante e il Louvre, a quell’ora della notte, aveva un aspetto sepolcrale. La scala, come quella di certi cinematografi, era illuminata da sottili strisce di luce incassate nell’al-zata dello scalino. Langdon sentiva i propri passi echeggiare sul vetro, in alto. Alzò gli occhi e vide svanire oltre il tetto trasparente qualche ricciolo di nebbia illuminata, proveniente dalle fontane.
?Lei approva?? chiese Fache, indicando col mento la piramide.
Langdon sospirò. Non aveva più voglia di giocare. ?Sì, la vostra pirami-de è magnifica.?
Fache brontolò: ?Una ferita sulla faccia di Parigi?.
"Uno a zero." Langdon sentiva che il suo accompagnatore era un uomo difficile da accontentare. Si domandò se Fache sapesse che la piramide, per esplicita richiesta del presidente Mitterrand, era costituita di esattamente 666 lastre di vetro, una bizzarra richiesta che era ancora oggetto di discus-sione da parte degli appassionati di esoterismo, per i quali il 666 era il nu-mero della Bestia, ossia di Satana.
Langdon preferì lasciar perdere. A mano a mano che si inoltravano nel foyer sotterraneo, le sue superfici cominciarono a emergere dall’ombra. Costruito diciassette metri sotto il livello del suolo, il nuovo atrio del Lou-vre, settemila metri quadrati, si allungava come una grotta infinita. Con il suo marmo di un caldo color ocra intonato alla pietra color miele della fac-ciata sovrastante, la sala sotterranea era in genere piena di luce e di turisti. Quella notte, invece, l’atrio era spoglio e scuro e l’intero spazio dava un senso di gelo che richiamava alla mente l’atmosfera di una cripta.
?E gli agenti del servizio di sicurezza del museo?? chiese Langdon.
?En quarantaine? rispose Fache, in tono leggermente offeso, come se lo studioso avesse messo in dubbio l’integrità dei suoi uomini. ?Ovviamente, questa sera è entrato qualcuno che non doveva entrare. Tutti i guardiani notturni sono stati riuniti in un’altra ala per essere interrogati. Saranno i miei agenti a occuparsi della sicurezza del museo per questa notte.?
Langdon annuì. Accelerò il passo per non allontanarsi da Fache.
?Conosceva bene Jacques Saunière?? chiese il capitano.
?In realtà non lo conoscevo affatto. Non l’ho mai incontrato.?
Fache fece la faccia sorpresa. ?E il vostro primo incontro doveva avere luogo questa notte??
?Sì. Ci eravamo dati appuntamento nella portineria dell’Università ame-ricana, alla fine della mia conferenza, ma lui non è venuto.?
Fache prese un appunto in un quadernetto. Mentre camminavano, Lan-gdon scorse anche la seconda, meno importante piramide del Louvre — la Pyramide Inversée — un enorme lucernario capovolto che scendeva dal soffitto come una stalattite, in una parte del mezzanino vicino a dove si trovavano loro. Fache salì alcuni scalini fino a una galleria dalla volta ad arco che portava la scritta: DENON. L’ala Denon era la più famosa delle tre principali sezioni del Louvre.
?Chi ha organizzato l’incontro di questa sera?? chiese all’improvviso Fa-che. ?Lei o Saunière??
La domanda era leggermente strana, date le abitudini del curatore del Louvre. ?Il signor Saunière? rispose Langdon mentre entravano nella gal-leria. ?La sua segretaria mi ha mandato un’e-mail qualche settimana fa. Ha detto che il curatore sapeva della conferenza e che voleva discutere alcuni particolari con me, mentre ero a Parigi.?
?Che particolari??
?Non lo so. Qualcosa che riguardava l’arte, suppongo. Condividevamo alcuni interessi.?
Fache lo guardò con scetticismo. ?Non ha idea dell’argomento dell’in-contro??
Langdon non ne aveva idea. All’epoca, le parole di Saunière avevano de-stato la sua curiosità, ma non aveva voluto chiedere maggiori dettagli. Il famoso Jacques Saunière amava la privacy e concedeva pochissime udien-ze; Langdon considerava già un grande onore poterlo incontrare.
?Signor Langdon, può almeno fare un’ipotesi sull’argomento che la vit-tima poteva voler discutere con lei la notte in cui è stato ucciso? Potrebbe esserci d’aiuto.?
L’insistenza della domanda metteva a disagio lo studioso. ?A dire il ve-ro, non saprei proprio. Non gliel’ho chiesto. Mi sentivo onorato di essere stato contattato da lui. Sono un ammiratore dell’opera di Saunière. Spesso uso i suoi testi nei miei corsi.?
Fache prese nota dell’informazione nel suo quadernetto.
I due uomini erano adesso a metà della galleria e Langdon cominciava a vedere le scale mobili alla fine, entrambe ferme.
?Dunque, lei condivideva alcuni interessi con Saunière?? chiese Fache.
?Sì. A dire il vero, ho impiegato gran parte dello scorso anno a scrivere la prima stesura di un libro che tratta del principale campo di studi di Sau-nière. Non vedevo l’ora di strizzargli il cervello.?
Fache rizzò di scatto la testa. ?Pardon??
Evidentemente si trattava di un’espressione troppo americana. ?Non ve-devo l’ora di conoscere i suoi pensieri sull’argomento.?
?Capisco. E qual è l’argomento??
Langdon ebbe un istante di esitazione; non sapeva come formulare la ri-sposta. ?Essenzialmente, il mio manoscritto riguarda l’iconografia del culto della dea, il concetto di santità femminile e l’arte e i simboli a esso associa-ti.?
Fache si passò una mano fra i capelli. ?E Saunière era un esperto sull’ar-gomento??
?Il massimo esistente.?
?Capisco.?
Langdon aveva l’impressione che Fache non capisse affatto. Jacques Saunière era considerato il principale iconografo mondiale sulla dea. Non solo aveva una passione personale per tutti i reperti relativi a fertilità, culti della dea, la Wicca e il femminino sacro, ma nei vent’anni in cui era stato curatore del Louvre aveva anche accumulato nel museo la più grande col-lezione mondiale di oggetti artistici sulla dea: asce bipenni usate dalle sa-cerdotesse del più antico tempio di Delfi, caducei dorati, centinaia di ankh di Tjet che assomigliavano a piccoli angeli eretti, sonagli di sistro adopera-ti nell’antico Egitto per allontanare gli spiriti maligni e una stupefacente quantità di statuette raffiguranti Horo allattato dalla dea Iside.
?Che Jacques Saunière fosse a conoscenza del suo manoscritto?? sugge-rì Fache. ?Potrebbe avere organizzato l’incontro per aiutarla in qualche punto del libro.?
Langdon scosse la testa. ?A dire il vero, nessuno sa ancora nulla del mio manoscritto. è in prima stesura e l’ho fatto vedere soltanto al mio editor.?
Fache non disse nulla.
Langdon non aggiunse la ragione per cui non aveva mostrato il mano-scritto ad altri. Le sue trecento pagine — provvisoriamente intitolate Sim-boli della sacralità femminile perduta — proponevano alcune interpreta-zioni non convenzionali dell’iconografia religiosa corrente e avrebbero cer-
tamente suscitato molte polemiche.
Adesso, mentre si avvicinava alle scale mobili, si fermò perché si era ac-corto che Fache non era più con lui. Quando si voltò, vide che si era fer-mato a qualche metro di distanza, accanto a uno degli ascensori.
?Prendiamo l’ascensore? disse il capitano, mentre le porte scorrevoli si aprivano. ?Come lei certamente sa, la galleria è piuttosto lontana, a piedi.?
Pur essendo consapevole che l’ascensore avrebbe abbreviato la salita fi-no all’ala Denon, Langdon non si mosse.
?Qualcosa non va?? chiese Fache, seccato, tenendo aperta la porta.
Langdon sospirò e guardò con desiderio la scala mobile. "è tutto a po-sto" mentì a se stesso, incamminandosi verso l’ascensore. Da bambino era caduto in un pozzo abbandonato e aveva rischiato di morire: per ore aveva continuato a tenersi a galla in quello stretto spazio prima che venissero a salvarlo. Da allora aveva la fobia dei luoghi chiusi: ascensori, metropo-litane, campi di squash. "L’ascensore è una macchina perfettamente sicura" si ripeté, ma un’altra voce nella sua mente protestava: "è una sottile scatola di latta dentro un pozzo!". Trattenendo il respiro, montò nell’ascensore e provò il consueto brivido di terrore quando le porte si chiusero.
"Pochi piani. Una decina di secondi."
Il capitano Bezu Fache camminava come un toro incollerito, con le spal-le dritte e il mento piantato nel petto. Aveva i capelli neri e lucidi, pettinati all’indietro, con un ciuffo centrale dall’attaccatura simile alla punta di una freccia, che divideva in due ben distinte parti la fronte sporgente e lo pre-cedeva come la prua di una nave da guerra. Mentre avanzava, i suoi occhi
scuri parevano scavare la terra davanti a lui e davano un’impressione di fe-rocia che corrispondeva alla sua fama di severità in ogni cosa.
Langdon seguì il capitano lungo la famosa scalinata di marmo che por-tava nell’atrio sotterraneo, sotto la piramide di vetro. Mentre scendevano, passarono accanto a due agenti della polizia giudiziaria armati di mitra-gliette. Il messaggio era chiaro: questa notte nessuno entra, nessuno esce senza il permesso del capitano Fache.
Scendendo sotto il livello del terreno, Langdon provò un crescente al-larme. La presenza di Fache era tutt’altro che rassicurante e il Louvre, a quell’ora della notte, aveva un aspetto sepolcrale. La scala, come quella di certi cinematografi, era illuminata da sottili strisce di luce incassate nell’al-zata dello scalino. Langdon sentiva i propri passi echeggiare sul vetro, in alto. Alzò gli occhi e vide svanire oltre il tetto trasparente qualche ricciolo di nebbia illuminata, proveniente dalle fontane.
?Lei approva?? chiese Fache, indicando col mento la piramide.
Langdon sospirò. Non aveva più voglia di giocare. ?Sì, la vostra pirami-de è magnifica.?
Fache brontolò: ?Una ferita sulla faccia di Parigi?.
"Uno a zero." Langdon sentiva che il suo accompagnatore era un uomo difficile da accontentare. Si domandò se Fache sapesse che la piramide, per esplicita richiesta del presidente Mitterrand, era costituita di esattamente 666 lastre di vetro, una bizzarra richiesta che era ancora oggetto di discus-sione da parte degli appassionati di esoterismo, per i quali il 666 era il nu-mero della Bestia, ossia di Satana.
Langdon preferì lasciar perdere. A mano a mano che si inoltravano nel foyer sotterraneo, le sue superfici cominciarono a emergere dall’ombra. Costruito diciassette metri sotto il livello del suolo, il nuovo atrio del Lou-vre, settemila metri quadrati, si allungava come una grotta infinita. Con il suo marmo di un caldo color ocra intonato alla pietra color miele della fac-ciata sovrastante, la sala sotterranea era in genere piena di luce e di turisti. Quella notte, invece, l’atrio era spoglio e scuro e l’intero spazio dava un senso di gelo che richiamava alla mente l’atmosfera di una cripta.
?E gli agenti del servizio di sicurezza del museo?? chiese Langdon.
?En quarantaine? rispose Fache, in tono leggermente offeso, come se lo studioso avesse messo in dubbio l’integrità dei suoi uomini. ?Ovviamente, questa sera è entrato qualcuno che non doveva entrare. Tutti i guardiani notturni sono stati riuniti in un’altra ala per essere interrogati. Saranno i miei agenti a occuparsi della sicurezza del museo per questa notte.?
Langdon annuì. Accelerò il passo per non allontanarsi da Fache.
?Conosceva bene Jacques Saunière?? chiese il capitano.
?In realtà non lo conoscevo affatto. Non l’ho mai incontrato.?
Fache fece la faccia sorpresa. ?E il vostro primo incontro doveva avere luogo questa notte??
?Sì. Ci eravamo dati appuntamento nella portineria dell’Università ame-ricana, alla fine della mia conferenza, ma lui non è venuto.?
Fache prese un appunto in un quadernetto. Mentre camminavano, Lan-gdon scorse anche la seconda, meno importante piramide del Louvre — la Pyramide Inversée — un enorme lucernario capovolto che scendeva dal soffitto come una stalattite, in una parte del mezzanino vicino a dove si trovavano loro. Fache salì alcuni scalini fino a una galleria dalla volta ad arco che portava la scritta: DENON. L’ala Denon era la più famosa delle tre principali sezioni del Louvre.
?Chi ha organizzato l’incontro di questa sera?? chiese all’improvviso Fa-che. ?Lei o Saunière??
La domanda era leggermente strana, date le abitudini del curatore del Louvre. ?Il signor Saunière? rispose Langdon mentre entravano nella gal-leria. ?La sua segretaria mi ha mandato un’e-mail qualche settimana fa. Ha detto che il curatore sapeva della conferenza e che voleva discutere alcuni particolari con me, mentre ero a Parigi.?
?Che particolari??
?Non lo so. Qualcosa che riguardava l’arte, suppongo. Condividevamo alcuni interessi.?
Fache lo guardò con scetticismo. ?Non ha idea dell’argomento dell’in-contro??
Langdon non ne aveva idea. All’epoca, le parole di Saunière avevano de-stato la sua curiosità, ma non aveva voluto chiedere maggiori dettagli. Il famoso Jacques Saunière amava la privacy e concedeva pochissime udien-ze; Langdon considerava già un grande onore poterlo incontrare.
?Signor Langdon, può almeno fare un’ipotesi sull’argomento che la vit-tima poteva voler discutere con lei la notte in cui è stato ucciso? Potrebbe esserci d’aiuto.?
L’insistenza della domanda metteva a disagio lo studioso. ?A dire il ve-ro, non saprei proprio. Non gliel’ho chiesto. Mi sentivo onorato di essere stato contattato da lui. Sono un ammiratore dell’opera di Saunière. Spesso uso i suoi testi nei miei corsi.?
Fache prese nota dell’informazione nel suo quadernetto.
I due uomini erano adesso a metà della galleria e Langdon cominciava a vedere le scale mobili alla fine, entrambe ferme.
?Dunque, lei condivideva alcuni interessi con Saunière?? chiese Fache.
?Sì. A dire il vero, ho impiegato gran parte dello scorso anno a scrivere la prima stesura di un libro che tratta del principale campo di studi di Sau-nière. Non vedevo l’ora di strizzargli il cervello.?
Fache rizzò di scatto la testa. ?Pardon??
Evidentemente si trattava di un’espressione troppo americana. ?Non ve-devo l’ora di conoscere i suoi pensieri sull’argomento.?
?Capisco. E qual è l’argomento??
Langdon ebbe un istante di esitazione; non sapeva come formulare la ri-sposta. ?Essenzialmente, il mio manoscritto riguarda l’iconografia del culto della dea, il concetto di santità femminile e l’arte e i simboli a esso associa-ti.?
Fache si passò una mano fra i capelli. ?E Saunière era un esperto sull’ar-gomento??
?Il massimo esistente.?
?Capisco.?
Langdon aveva l’impressione che Fache non capisse affatto. Jacques Saunière era considerato il principale iconografo mondiale sulla dea. Non solo aveva una passione personale per tutti i reperti relativi a fertilità, culti della dea, la Wicca e il femminino sacro, ma nei vent’anni in cui era stato curatore del Louvre aveva anche accumulato nel museo la più grande col-lezione mondiale di oggetti artistici sulla dea: asce bipenni usate dalle sa-cerdotesse del più antico tempio di Delfi, caducei dorati, centinaia di ankh di Tjet che assomigliavano a piccoli angeli eretti, sonagli di sistro adopera-ti nell’antico Egitto per allontanare gli spiriti maligni e una stupefacente quantità di statuette raffiguranti Horo allattato dalla dea Iside.
?Che Jacques Saunière fosse a conoscenza del suo manoscritto?? sugge-rì Fache. ?Potrebbe avere organizzato l’incontro per aiutarla in qualche punto del libro.?
Langdon scosse la testa. ?A dire il vero, nessuno sa ancora nulla del mio manoscritto. è in prima stesura e l’ho fatto vedere soltanto al mio editor.?
Fache non disse nulla.
Langdon non aggiunse la ragione per cui non aveva mostrato il mano-scritto ad altri. Le sue trecento pagine — provvisoriamente intitolate Sim-boli della sacralità femminile perduta — proponevano alcune interpreta-zioni non convenzionali dell’iconografia religiosa corrente e avrebbero cer-
tamente suscitato molte polemiche.
Adesso, mentre si avvicinava alle scale mobili, si fermò perché si era ac-corto che Fache non era più con lui. Quando si voltò, vide che si era fer-mato a qualche metro di distanza, accanto a uno degli ascensori.
?Prendiamo l’ascensore? disse il capitano, mentre le porte scorrevoli si aprivano. ?Come lei certamente sa, la galleria è piuttosto lontana, a piedi.?
Pur essendo consapevole che l’ascensore avrebbe abbreviato la salita fi-no all’ala Denon, Langdon non si mosse.
?Qualcosa non va?? chiese Fache, seccato, tenendo aperta la porta.
Langdon sospirò e guardò con desiderio la scala mobile. "è tutto a po-sto" mentì a se stesso, incamminandosi verso l’ascensore. Da bambino era caduto in un pozzo abbandonato e aveva rischiato di morire: per ore aveva continuato a tenersi a galla in quello stretto spazio prima che venissero a salvarlo. Da allora aveva la fobia dei luoghi chiusi: ascensori, metropo-litane, campi di squash. "L’ascensore è una macchina perfettamente sicura" si ripeté, ma un’altra voce nella sua mente protestava: "è una sottile scatola di latta dentro un pozzo!". Trattenendo il respiro, montò nell’ascensore e provò il consueto brivido di terrore quando le porte si chiusero.
"Pochi piani. Una decina di secondi."